giovedì 31 marzo 2011

Quella notte


Quella notte anticipò il delirio delle pavonie. Quella notte in cui ebbi in consegna il lasciapassare dei pentimenti in formato di rettangolo, plastificato e translucido e quella notte in cui gli sbronzi urbani prendevano aperitivi. Provai a contare fino a cinque e non basta e provai a contare fino a cento tutto spostato tra il carton gesso della mansarda e il cesso e gli elementi del calorifero. Quella notte mi attaccai rivergendo dalla stampante e fu una cascata di fogli bianchi in formato a3 e ciò che non seppi mai lo seppi quella notte. E prima il talisker e poi un pernod in fricassea con stock 84 e l’avanzo di una sprite. Suonai almost blue e avevi le calze a rete e si faceva il periplo di marsiglia nello scandaglio della respirazione insieme. Provai a non pensare con esiti ridicoli e così ogni percussore della macchina da scrivere rimbombava il piombo di quelle lettere, così come lo sterno di un ortottero faceva casino e tintinnava. Quella notte raccomandai a me stesso di non farmi male con esiti ridicoli. Sapevi cosa era possibile e cosa no quella notte e presi di nuovo un filo e sette fili di alluminio ma smisi subito a causa di torsione irrisolta della plastichetta. Quella notte ripassai il sudario e stormi di dispiaceri erano in ipotesi di galleggiamento. Ero solo. Scassinai la maniglia del frigo ma non c’era nulla dentro così mi proposi di uscire nel silenzio e tu non c’eri, avvolta nelle tue coperte distanti ad inseguire claustrofobie che per te avevano ragione d’essere. Rientrai poco dopo e quella notte era neanche esistita e presi un rasoio. Quella notte che nutriva l’insonnia dei vinti a colpi di spigolo in faccia e c’era solo da resistere. Quella notte fu una meticolosa ricerca di un pensiero casuale che ne scacciasse altri e anche se hai il consenso generale e tuo sei lo stesso infinitamente solo contro tutto. Provando a rinsaldarti di nuovo le coperte addosso ma scendendone febbricitante di dolore e ancora riprovai ad uscire a riveder le stelle. Provando a prendere una sbronza nuova e ritrovando le maioliche così come le avevi lasciate, tra il cesso e il carton gesso e più stanco riposando nei sogni di malva leggera, così che quella débacle sembrasse carina, se non del tutto opportuna. Quella notte sembrava terminasse in un accordo maggiore o in un incrocio di escher ma sopra lo scrittoio, disordinatamente, correvano quei cavalli frenetici della follia e tu però sapevi contarli e farne un almanacco di enumerazioni coordinate. Così prendesti a baciarti quella notte, iniziando le mani a perdonare e a perdonare il resto della vita con il sapore delle ance in bocca. Saliva il vapore della mattina grumi di rugiada e nebbia ubriaca. In quella notte, così come la intesi, fantasticai nello squilibrio, osservando quel vuoto che appartiene a sogni accesi.

Nessun commento:

Posta un commento