mercoledì 13 aprile 2011

Le sette porte


La porta prima delle sette varcando alla ricerca di una botta. Trapezisti e fringuelli tagliavano le birre con la vodka e distrattamente senza più nessunissimo bacio vidi riaffiorare un ricordo tra i vetri e i vomiti delle spazzature. Chiedesti ti ricordi di me nel velluto delle cosce e sospirando dissi no. Volavano sommersi qui piccoli segni piegati dai segnalibri e sognammo violentemente coi corpi rovesciati su quella superficie di mosaici. Le puntine del giradischi aravano da ore gli ultimi solchi silenziosi.
La seconda porta delle sette uscendo a cercare il dolore. Fu facile trovarlo e amputò lo sguardo nel pisciatoio chiuso di piazza dei caduti e c’era il giro delle canne e i capelli buttati in fronte come glicine che invade ridendo il ballatoio, assolutamente cotti di noi, bassi luci di un cinema e contorti. Puoi sentire il mio sudore, la calca dei pensieri, puoi vendermi per pochi e spicci.
La terza porta ricevendo misericordia. Avevo perso un amico e piangevo, affluenti di lacrime su un giacchino usato e la testa bassa in segno di sconfitta. La cattedrale era troppo stretta per contenere quel furto, quella sottrazione immane scivolava nel rosone e filtrava una luce orribile e stavo ridotto come in una deposizione che imploravo inutilmente mia. Si avvicinò e non la vidi, scorsi quanto basta per capire che non l’avevo mai vista, bionda, bellissima tirò fuori un fazzoletto di seta che presi, rovinai intridendo quel piccolo sollievo con la forza infinita delle spine.
La quarta delle sette porte mimetizzando tra i disegni di quarzo. Una pianticella resistente alle ingiurie e alla sofferenza e dedicandoci un sorriso. Trovati per caso in una gittata a strapiombo sul granito e fu aria rinnovata e carezze. Sapevamo senza dire risposte senza nome. Volteggiavano i piccoli gabbiani sul muro dei cristalli liquidi ed era amicizia e lo seppi da subito. Sarebbe stato per sempre, perchè lo senti a fiuto dove si nasconde l’azzurro e il mare, quando celando delicatezze, quelle hanno vita in quell’istante, senza alcuna espressione contraffatta. Voltai per la strada degli asfodeli con un sorriso senza approdo e più dolce. Sapendo.
La quinta delle sette porte fu quella che provandomi a capirla non riuscii mai, impossibile o del tutto inverosimile per forza di natura. E si chiamava astuzia e di secondo nome ragioneria, di terzo un qualsiasi epiteto offensivo e sceglilo. E’ che astuzia è la sorella scema di intelligenza e se la seconda guarda oltre le porte della divinità, la percuote e modella, astuzia si ferma a conteggiare benefici provvisori senza attenzione per i sistemi. Il fine giustifica i mezzi dei dementi sussurrava urlando Caterina, astuzia è fingerti fragile è guardare il dito e non la luna indicata, non è il percorso, astuzia è una trappola per topi e alla fine sei tu lo stronzo e l’espediente che ci finisce dentro. Feci di si, feci si di.
La sesta delle sette porte ricercandone attentamente il gesto. Ogni grazia ha segno diverso e lo scorrere dei secondi mi racconta. Posso sentire e non vedere ora, posso amare così la parola di scegliere per sempre di tacere. Posso preferire un vecchio che se lo tira fuori sul muretto del giardino di casa ad una moina meravigliosa di una ragazza 19 che accomoda i capelli e ti fa vedere. Il gesto preferibile ha una eleganza difficile. Il gesto fu alzarmi goffamente ed energicamente sovrappeso da un arato maremmano e così ero bellissimo. Così come il gesto del caos o il perimetro del gesto raccontano i simboli e non la forma.
L‘ultima delle sette porte condividendo la luce di domani si nasconde allo sguardo. Oltre quel prato colorato c’è o sembra essere un bosco di lecci cresciuti in bettole di smalltown. Oltre, colori nuovi, bocche da bere in “per sempre” definiti e da succhiare piano, bottinando il polline delle tue smorfie, riponendo le lacrime nell’astuccio dell’estasi. Donando integralmente di te la tua parte migliore, quella che sai di non conoscere. E quel momento invece lo capisci e lo sai, che il tuo dolore ti ha reso ora felice e immortale.

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