lunedì 14 marzo 2011

Nei cicli


Quella primaria infanzia inizia mentre sfumi la paura dell’attesa e provai a cercare la mano ritraendomi, come un pulcino d’aquila che sbatte le ali e si rinfratta nella cuccia archetipica e quella fase seconda fai le bolle di sapone e sai che le stai osservando e puoi ripetere l’esercizio inspirando quella schiuma ed esplodendola fuori dall’altalena dei forellini, poi ti tocchi il sesso e ne hai una paura stretta e un piacere nascosto e incosciente. E quella terza infanzia in cui assumi che ogni pallone di cuoio è solo tuo e che puoi possedere una realtà parallela ed inventare epiche credibili che espandi come fumo, fintamente creduto ma solo a te comunque certo e l’ultima parte infantile ti porta ad attendere in panchina senza smorfie che l’allenatore ti lasci scatenare sulle caviglie dell’ala destra di passaggio nel tuo settore di competenza e prendi la chitarra in modo abile e ci immagini sopra e incolli una decalcomania con un fiore di pace. E adolescenza arriva quando servono tre topolino per un diabolik, quando scarti la via ed entri una gang di strada e sei tu leale al principio di lealtà e credi nelle carezze del nonno immaginando una pistola fredda di quel mondo che ritieni adulto e fai il primo furtarello e la società te lo lascia fare in virtù della tua leggerezza e idealizzi una ragazza, scali ogni cima impossibile con la fantasia. E la fase uno dell’età adulta è quella della tua prima manifestazione, coi lacrimogeni matematicamente e col limone di erikson, succede che senti l’altro come una persona e percepisci una strada civile e una donna come un sentiero di limoni come te in fiore, annusi la libertà e ora puoi morderla o giocare di rinterzo con la responsabilità di esistere come granello in un oceano di sassolini a te parimente virtuosi e bellissimi. Poi quella ultima fase adulta che è in definizione generativa, un parto di ginestre da condividere. Sai e vedi la caducità delle foglie e non ti basta, allora cerchi un modello di espressione che sia grazia di insegnamento e le emozioni provi a scaturire, scaturendole, provi a bere la linfa di una cedevolezza saputa, di un gesto che è amore e hai i mezzi e gli strumenti per essere quello che ti senti in modo profondo, con il permesso, è ovvio, della carestia sociale in forza di legittima difesa. E come lampo arriva la divinità della vecchiaia e ti metti un pigiama di trentanni fa fottendotene che è una bellezza, che non senti più la necessità di essere riconosciuto all’interno di quel sistema gerarchico che ti faceva il vomito da prima ma che ora rigetti con eleganza sobria, talvolta malatissima ma ogni volta immensa e smetti di pensare alla saggezza perchè in quell’assenza la hai trovata e la incarni e deifichi. Vivi l’integrità e la disperazione come un girotondo e finalmente sei seduto con te stesso tra le mani, accarezzando la vita per la prima volta.

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