venerdì 4 febbraio 2011

Odissea


L’appuntamento era a quello scoglio dei matti dove un anno prima una bambina del maghreb aveva offerto una nuova vita alla vita mentre il sole trafiggeva il mare e si sentivano solo le nenie delle berte. Stette male ed ebbe le doglie tra i gabbiani di quella catapecchia portaclandestini. Se questo è un uomo. Arbeit macht frei. Halima era una giovanissima tunisina che aveva dato la grazia su questo basalto terribile di alghe brune italiane come insuperabile regalo alla marea di rocce laviche. Si sentiva battere il cuoricino di Bechir che urlava i suoi primi suoni alla notte radiosa. Allora ti puoi solo fare domande e stringerti il cuore con un laccio, puoi piangere. “Sai Teresa è avvenuto proprio qui allo scoglio dei matti, dove ci incontriamo ora, quarantadue anni dopo il nostro primo bacio”. Stefano guardava all’orizzonte una barca da pesca piccola con gli strascichi, l’infinito dei suoi mondi nella scia e poi ora serrava le mani di Teresa e non sapeva di esserle ancora così vicino. Dove l’insenatura porta al faro di Marettimo, dove terminarono le agonie di Scilla, raccontammo d’amore prima che partissi e non sapevamo ancora nulla del domani. “Dormi ancora una volta sulle mie spalle Teresa”. Si erano volti verso l’entroterra lasciando le spalle alle onde di Punta Libeccio.
Teresina ebbe paura perchè nel seno del golfo arrivò una specie di ignobile pilotina e due ragazzi ne scesero con le stecche delle sigarette ad incontrarne un altro che spuntò come un lupo. Stefano girò pianissimo la testa e le disse mentre sfiorava madreperla “Si devono sudare il pane pure loro, sono bambini, senti come batte scuro, il mare è per tutti” Teresa lanciò, lei bimba, dei sassolini che divennero musica sullo scoglio e Stefano non ne sentì il tintinnare armonioso, divenne a 27 anni il rais di Favignana, il supremo satiro quella mattanza stagionale fatta di sbuffi e reti e arpioni ed aprile diventa il turbine e il fuoco. Tre chilometri di reti sghembe che terminavano nella camera della morte dove il rais distribuiva assetti di battaglia in quel mare di vapore e di sangue, di urla arabe e guizzi imprigionati. Ora non lo avrebbe fatto più e sacramentava la sua vita tutta mentre provava a riconciliarla negli occhi di Teresa che prese marito e non fu Minosse ma un babbeo di rigattiere e lei non le portò la testa di suo padre per una eternità strabuzzata e sghemba. Tutta la vita aveva cucito reti da pescatori attendendo il suo amore di infanzia che ora le stava toccando gli occhi con le dita e lei mani giunte e solo la guardava tempo dopo tempo. In quello sguardo salato non videro un ragazzo con una fiocina e una busta coi polpi avvolti nella foto del mese di playboy risalire la mulattiera delle dafne e dei timi in un susseguirsi di passi lenti come una cantica. Stefano ora a settantanni aveva gli occhi in quelli di Teresa che aveva atteso una fuga in continente di quello straccio di marito ubriacofradicio per rientrare di soppiatto e intimamente nella sua vita esatta, in quell’amore che aveva visto la luna tutte le notti nell’abbaino delle preghiere sussurrate. Si imploravano di desiderarsi ancora, senza che ce ne fosse nessun bisogno. Come piccole sterne del mare luccicavano la voglia in un pesciolino di gioia. Non avevano mai conosciuto nostalgie, erano loro adesso in quel bacio abbracciato come le file dei capperi stretti nel sole, perdutamente, in quella sconfitta ritrovata che seppe divenire l’inizio di una maniera.

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