giovedì 10 febbraio 2011

Il segreto di Marina


La prima cosa che mi viene in mente è la notte. E’ inutile che provi a ricordare i sogni e il francobollo dei tuoi reggiseni che mi mandavi perchè li annusassi, non l’ho mai fatto, avevo davvero altri pensieri. E il regalo prezioso fu la gioia di un dolore barbaro. Voltando strada si dissero che è ben vero, migliori. Tiziana aveva appuntamento col suo cliente e Marina con un altro. Quando si beccarono non erano truccate e fu il bagno del bar mignottaro “Impero d’oriente” a compierle professioniste “comme on dit”. Marina passava la matita e l’eye liner e Tiziana corrispondeva col rossetto. All’Impero passava evidentemente la meglio gente di Strarigliano, pure un assessore comunale all’edilizia e due notai, uno che scioglieva le persone nell’acido e un chirurgo di fama quasi regionale. Una caipirinha e un cenno e ti portavi via una. Misero la mini e gli stivali, presero da bere e si scivolava. Risposero ai fischi dei mocciosi con un vattelappesca e salirono su due bmwn serie tre coupé di pacca, una nera e una bianca. Passava killing me softly fatta dai Fugees sulla nera di Marina e qualcosa di Pino Daniele sull’altra baracca. Trovarono un doberman ferito sulla strada all’altezza dell’autocarrozzeria e Marina scese e gli batteva ancora il cuore, col gomito prese il cliente in faccia, fracassò il gemito della portiera e fermò una macchina con due ragazzi ed era notte ma c’era il veterinario di turno. Sangue sulla piccola tappezzeria e sul cruscotto. Tiziana finì i suoi lavoretti svogliata più del solito e andò all’Impero attendendo Marina che non c’era e non sarebbe arrivata. Lo operavano ora e c’era da ricucirgli tutta la pancia, non digrignava i denti, piegava il capo sulla lettiga ambulatoriale e l’anestetico era poco. Suturarono quando il tampone aveva asciugato del tutto l’ematoma interno al fegato. Stanchi tutti, Marina e il cane furono allora una cosa sola e lo specchio uno dell’altra ed era alba. Una degenza di dieci giorni e Simeone era rimesso a nuovo. Quando le si accovacciava ai piedi, Marina carezzava il collo, quando si alzava in piedi le sfiorava il garrese di dove partivano le bende di un anno fa. Simeone aveva cinque anni, ne videro la formula dentale, esaminarono il cingolo e il colletto, l’abrasione e l’ingiallimento di molari superiori e il veterinario Stefano glie lo disse che Marina voleva così, così saperlo. Tiziana ormai non la vedeva più, lei lavorava ancora tra le ninfette sfiorite dell’Impero e le disse a spiccio che lei e il suo cane puzzoso potevano anche andare a fare le passeggiate al parco e che non la riconosceva più e che se a un cliente gli portavi un dobermann gli schifavano le pulci e che insomma ondeggiando sui tacchi quattordici per lei poteva anche tornare nella feccia lurida da cui era venuta. E lo disse urlando mescolando ingiurie a insulti come chi non sa proprio che dire. Perchè era stato il magnaccia a scaricarla e Tiziana si dava le ariette ma spiava solo e “de relato”.
Marina era sola nel soggiorno aveva male, una gastrite così forte che stava per provocarle un’ulcera, allora Simeone si alzò e poggiò il suo corpo sul ventre sofferente di Marina, lo fece per un ora e per amore. Era quello anche un rimedio galenico e del dio delle serpi Eusculapio, ma il cane non lo sapeva e Marina nemmeno ma lo guardò come una madre col suo cucciolo che sconfisse la nausea e il dolore. Uscirono al parco delle rondini ondulando tra gli scippi di lama e i borseggi di motorino, fino alla fontanella in quella parte del cuore che si chiama condivisione e Marina era bellissima. Simeone aveva il naso sporco di terra e la maddalena lo pulì strofinandolo con l’acqua le lacrime e le mani, asciugando con un kleenex la bocca. Equivalenze. Seduti ora sul travertino del laghetto delle anatre, così come holden immaginò la rotondità del tempo, Marina ricordò un suo sogno di bambina e c’era un viale luminoso che conduceva alla fine delle strade, ma non era sola e con lei c’era una carezza e il divino che la coccolavano facendola sentire stretta in un piccolo scialle protetta, morbida e felice. Si accorse, sorrise che quel divino perfetto ora aveva il pelo corto, una mascherina ambra sul volto e che le leccava dolcemente le mani.

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