mercoledì 23 febbraio 2011

Daniush


Quel foglio bianco riepilogava il suo vivere remoto e senza ricordi. Tutti i giorni la routine lo impacchettava in quella selva di piccole querce e di campi senza confine. Magri fantasmi di eucalipti ad abbracciare quegli orizzonti abbandonati. “Si ho sentito verso di uccello che canta della notte, si lui, si si lui” e quella figura ossuta di ventenne scomparve e così la prima volta fu breve come un amore distorto, così quel cane grosso e rovinato gli leccava le mani e sparì il bambino nella roulotte. La mattina portare le pecore ai pascoli verdi di una angoscia rassegnata e accolta, perchè in Albania si stava peggio, ma peggio di questo pensammo cosa c’è. Solo una piccola radio nei due metri di un tugurio su quattro ruote bucate e lo sguardo sveglio, sporco, vestito di abiti presi dove. E la sera quando lucifero sorge mungere meccanicamente da un trabiccolo dall’altra parte degli olivi. E le altre volte fu diverso, veniva incontro Daniush con un sorriso che non si sarebbe visto se non ne avevi uno simile come luce di scorta. “Stavano lì ieri notte e passati sulla testa mentre portavo il cane dentro casa” E gli bastava una parola per sentirsi essenziale in quella prigionia verde. Quante volte ho pensato cosa ci fosse nella sua roulotte e nei suoi pensieri e scervellai di portargli abiti nuovi, ma non lo feci mai perchè forse sarei stato sgarbato, no non lo feci. Minuscoli incontri in andata e ritorno come quella sua aspirazione di tornare, che non fu mai detta e sempre vissuta, vestita come una gogna tragica. La malinconia tagliente degli uomini soli. Daniush faceva un sorriso trasversale e gli occhi brillavano mentre lo sparviero catturava l’alba, mentre la dolcezza dei suoi ventanni in isolamento mi facevano male e mi bruciavano. Clandestino irregolare per legge, amico dolcissimo nel mio cuore e che ogni decisione sulla sua vita pregavo la potesse scegliere lui, con i suoi occhi erbacei di ragazzo intelligente e bello. Si, pensai che se gli angeli fossero esistiti avrebbero la faccia di Daniush e il suo coltello di lama leggera e lui lo era completamente intatto e aveva le ali di penne di cigno. Quando arrivava l’ora delle civette cosa avrà pensato il mio angelo minuscolo. Ad un amore meraviglioso da masturbare in quella solitudine del disincanto, oppure a sua madre rimasta a Durazzo a fare le pulizie e che lo piangeva ancora di desiderio. Quella era Samaria e cristo era venuto in terra per Daniush, per placare ogni suo dolore, per lampeggiare d’amore ogni suo sorriso. Prendevo la macchina fotografica guardandola con disprezzo e fotografavo una capinera vestita di primavera. Usciva, scambiavamo un saluto di lacrime trattenute con una fatica immensa. Avrei pascolato la notte in un letto liscio e comodo, ne sento un peso osceno.

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