sabato 25 dicembre 2010

Passero solitario Monticola solitarius/Pipe Le Nuvole Maurizio Tombari


“Le caratteristiche del Passero solitario sono cinque: la prima che vola verso il punto più alto, la seconda che non sopporta compagni, neppure simili a lui, la terza che mira con il becco ai cieli, la quarta che non ha un colore definito, la quinta che canta molto dolcemente." Le parole di San Juan de la Cruz illuminano come sottili arcobaleni i cieli di Pesaro. Quella griglia antica di tegole, baricentri di sbieco e per traverso, comignoli che sbuffano il fumo azzurro come piccoli fari di porti distanti e grigi. Ricoperti dalle patine dei muschi e dei licheni frondosi le assurde linee di bramante, il pittore “prospectivo”, assimilando punti di vista portò al facitore della materia. Quindi arrivano le botteghe di ottobre, i vicoli e le damigiane messe a scolare col tubo di plastica, le forgiature del vasellame contadino e una donna ci mette gli avanzi della cena per i gatti e un’altra i fiori della misericordia mentre risuona una eco di vortici sull’adriatico e sul fiume. Decise di cambiare tetto, virando dall’azzurro all’indaco con una grazia che nessuno vide. Merlo blu, menestrello degli insettini tra le righe simmetriche dei coppi a ricercare quel palpabile isolamento retroattivo. Arancio e celeste come le “Nuvole” che intravede sublimando solitudini tra le tegole e la strada.


Così le pipe di Maurizio disposte nella mente in equilibrio surreale. Quella mattina arrivarono le placche buone, ma non importava così tanto non gli fregò nulla al momento anzi, stava rusticando una piccola brocca ed era tutto lì. Sul tavolo una pagina aperta su un madonna di Piero della Francesca e passò monticola e sorrise a Stefania. I vortici del trapanino resuscitato incidevano la radica la scortecciavano in minuscola griglia. Poi le forme delle Nuvole hanno un punto remoto di nascita e si incarnano in piccole gioie di sbuffi di fumo azzurro come le bizzarrie consapevoli di passero solitario. Nasce tutto da lì, in quel ragionare di bramante in quelle linee nei pieni e nei vuoti e nelle bevute contadine, quelle immaginate e quelle sbronze, filtrando, filtrando col lume del cuore e i palpiti della ragione in una fatica divisa in due. E la terra è sempre lì in quelle balze di erica dove intravidi una pipa di razza maremmana ed è sempre lì in quell’assaporare l’irruenza della storia dell’arte, ascoltando la verità dello stare insieme contadino in una antropologia nuova come un nuovo leggerissimo umanesimo. Ogni pipa di Maurizio è semplicemente la contrazione di qualcosa di più grande e insieme una visione. La tengo in bocca in un soffio di plastica che immagina il dono ad un amico.

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