sabato 4 dicembre 2010

Parigi-Livorno


Le magliette e il fango di quella Woodstock serpentina. Chi era lady charme? Chi piccola ala? Scommettevamo disgraziatamente sulla vita.
Valentina si tolse le scarpe, lasciò solo una cavigliera di legnetti e una briciola di gonna. Settanta luci strobo, settanta stazioni della metro, settanta universi paralleli da snocciolare d’incenso come in via della croce, settanta ubriachi riversi per terra come pozzanghere riflesse.
Danilo si sentiva poco bene e il peggio doveva ancora venire, le gatte in calore incitavano i maschi a scannarsi, a scortecciarsi il pelo. Quella mattina che stentava a decollare. Da una stocazzo di casa la radio sdolcinava honesty di billy joel e parigi odorava di grigio. Valentina era fatta e rideva delle giraffe del beaubourg, inciampò sul pedale di una chitarra elettrica.
Nulla era in ordine perdio, scivolavano i ghepardi della sbornia, Danilo cadde e non si alzava più, Eravamo affetti da giovinezza. Si doveva andare al Louis Buffon a sistemare trilobiti di una collezione peruviana, ma l’appuntamento fu sempre mancato e per sbaglio si era nella nebbia di Le Havre e non faceva nulla se nel container dormiva una polacca omicida parente di Simenon per parte di madre. Fumavamo.
La luce sa il fatto suo e l’oceano se la mangia nelle prue inconsistenti dei pescherecci livornesi. Marco girava il basso verso il muro e passava le canne. Danilo dava a Valentina, Valentina a Eugenio, Eugenio dava a Elisabetta e il gioco della bottiglia concludeva nelle labbra sottili di Marco che giggiava da croupier.
Le puttane di sotto litigavano e dal soppalco si tiravano cuscini e specchi, era un casino, era un inferno vaudeville. Settanta amori tralasciati, settanta nuvole splendide di Monte Romano, settanta preghiere della santissima abitudine, settanta cuori trascurati come bastardi.
Il gioco era quello: Valentina si depilava le cosce, Danilo guardava il pelo sotto la gonna. Cosa è restato del settimo cielo di ieri notte? La tovaglia di plastica ha macchie di vino rosso, il disagio, i bicchieri come birilli del bowling, la faccia di cossiga con le freccette infilate, pezzi di pane rotolanti. Era indecente la bellezza di quel mattino, come un indugio per timidezza.
La storia finisce qui, nell’adorazione assoluta di Pier Vittorio Tondelli e Andrea Pazienza, come il nonsense di un vivere a sdraio, come la luminosità di un poeta può spezzarti la vita e ricomporla, come da bimbi ci davano il caleidoscopio ed era dio. Perchè capita sempre che vivendo chiedi qualcosa come una puttana piccola e la risposta è sempre stretta e dogmatica. Ma che cazzo vuoi?

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