domenica 29 gennaio 2012

Monosillabi



E il vento rimescolò gli sguardi di percorsi ripassati a mente troppe volte fino a creare migliaia di archi elettrici. Stefania e Roberto erano carne da porco ora, ora che Roberto aveva perso il lavoro e beveva e che Stefania non sapeva come fare per evitare la rottura del cristallo. Provati e piagati entrambi da una relazione che non era durata molto ma che li aveva resi la sconfitta perfetta. Si volevano bene e questo acuiva la forma della disperazione privata. Quando è il tempo dei figli di mignotta a versare l’ultima bevuta non disse mai no, anzi aiutava a chiudere serrande in tre bar diversi, tre ultimi goccetti almeno. Stefano era fatto così, era troppo buono per dire no e non era importante chi offrisse o se c’era da pagare, lui prendeva le ultime eucarestie in stato di avanzato disfacimento. Lenzuola rosse e gialle stese in una nottata nuvolosa di dicembre non riuscirono a colorare, non riuscirono a sminuire il senso di infinito affanno. Neanche guardava un cazzo mentre tornava da Stefania, non si accorse di nulla né dei colori né dei suoi grigi. Provò ad ascoltare le percussioni dei sui pensieri in doppia fila, ma non gli trovò un parcheggio reale. Era un esule, uno sconfitto alla soglia dei cinquanta, indomabile toro che le banderillas rendevano un simulacro ideale, steso per terra e su cui sputare agevolmente e lo avevano fatto tutti. Benedicendo quegli sputi, faceva spallucce, provava sorridendo l’ultimo sentiero del ritorno. Stefania lo prese su e lo aiutò a togliere i pantaloni e si addormentarono vestiti ancora di paura. Non riuscirono ad esprimere nessun desiderio e insieme e scaraventati per terra nel pattume del vino consacrato. C’era una stufa a legna c’erano un po’ di marijuana e pochi mobili sgraffignati, c’era il dolore quotidiano a mettere la cornice del proscenio shakespeariano. Quando Roberto provò ad imporsi ferite con un coltellino ruzzo, Stefania gli disse lascia fare amore. La morte era esigibile a rate o con bonifico bancario anticipato, Stefania preferì pagare le rate del mutuo. Ora che nulla aveva più valore ora che i primi boccioli dei mandorli sembravano suggerire la vita, era finito tutto. Filtrò luce caravaggesca sulle poltroncine, urlavano i cani senza casa e alle tre c’era la migrazione dei tossici verso i vagoni del binario senza rotaia. Verso la deportazione. Un attimo svegli la guardarono stretti, senza usare attenzione ma solo perchè la finestra era sul percorso di una bottiglia mezza piena d’acqua. Seppero pensare alla bellezza dei loro corpi prima della loro deposizione, la porta cigolava, la rima delle labbra unita come i petali rossi di una rosa, dorso sulla finestra, cosce aperte e alla rinfusa, abbracciati.

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