sabato 3 settembre 2011

Racconto permeabile


Così presi per porta nuova, inciampando nelle effusioni laviche in blocchetti, era la mattina del tre e quelle nuvole di scirocco odoravano la strada e faticosamente. Quando voltai c’erano tanti volti passati di vite usate e il venditore di palloncini sistemava il blocco, una greca di metallo e sopra un palla tutta storta di ferro da centoventicinquechili. Tu lo hai conosciuto e lo sai, hai smistato quelle lettere alcune nel cesso ed altre semplicemente nel cassonetto dell’umido. Smaltite le a e le elle con egregio stile da sciura. Quella striscia di san pietrini guardati con la testa bassa, mano nella mano. Coperte disfatte a furia e giù per su. Ottobre doveva essere il mese delle isole azorre e sorridevo sotto i baffi leggermente con gli occhi e le labbra. Trafficavo le carte nautiche e trovai improvvisamente l’isola dei lotofagi. Portici e fontanelle del non sarà mai più. La pioggia e il vento abbattevano quegli alberi mai esistiti Era la mattina del tre, delle menzogne raccontate bene e c’era il mais al bordo delle strade e un sacchetto bianco per le more. Le gambe e le braccia erano tutte un graffio di sangue e si sentiva il mastino di baskerville abbaiare e tenuto a catena in quel casale lontano, scia di metallo, muscoli imprigionati nel brugo e nell’avena. Ringraziai di poter esserci ancora lontano dalle risate che mi avevano tenuto in vita. Era quella mattina in un corridoio di binari e passavano le autorità i preti e le mignotte, due bambini innamorati si guardavano al semaforo senza vedere i colori. Giallo ti stringo, rosso ti mangio, verde ricomincio. Erano la fede che non avevano addosso ma trasportata nel corpo in quella stasi di bacetti. Non avevi paura, io si e stringeva più forte la necessità di nascondere quel polline di dio fumato in una pipa accarezzata e mia. Iniziavano a tingersi le foglie come un qualsasicazzo di dipinto fiammingo, visto al louvre o nella stanza chiusa. Trascinati a forza come i garretti dell’illusione. Sai amore mio, oggi è la mattina del tre ed erano ancora lì al semaforo a scambiarsi i dolci. Lui la guardava di zucchero filato, quattordici anni entrambi, lei sollevò la bocca quel poco che potesse bastare a vedere quel cielo di desiderio della carne nella trama lieve e mezzo autunnale. Come in una canzone (side b). C’è un istante, che ricordo precisamente, in cui non accadde niente. L’inerzia dei violoncelli confuse nel dolore quelle pagine di tabulazioni e trascrizioni per orchestre da camera sommerse. Trascinati per le pasticche, per l’elastico delle mutandine e per la bustina della bamba. E lei si chiamava stefania e lui mario sulla diagonale di porta romana e piccolissimi bacetti dati nella rinfusa di un coinvolgimento di piccolissime anime legate. Sporgeva dal tufo una immagine benedetta e bestemmiata mille volte e quel fiorellino reclinato era percepibile solo attraverso una misura transustanziale del divino.

1 commento:

  1. rimembranze di ieri...
    visioni di oggi...
    struggente e delicato...
    quello che so...

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