mercoledì 5 gennaio 2011

Dilinger


Venti anni fa tantissimi eroinomani morirono di Aids perchè le siringhe non avevano una motosega di monouso, bastava una lavata e ripigliava il circolo. “Ne abbiamo persi troppi così”diceva Osvaldo e lui era l’antonomasia del superstite, scampato dai limoni e dai lacci per una questione di culo. Il motorino lo portava a caccia alla posta alla beccaccia, era magro come una pertica e un naso fuori regolamento. Ovviamente cazzo ne sapeva di immunologia, ma fu salvato dalla stagione venatoria, perchè d’inverno passava alle canne e meno dolore per tutti. I martelli pneumatici ballavano in rombi da assordare, mettevano una nuova linea elettrica, la sesta in due anni e Osvaldo e io fermi al semaforo a parlare e un sorriso si fece strada tra i denti e i baffi che nella vita solo una cosa buona ho fatto “la mi moje che mi sopporta e mi ama e come stracazzo fa?” ed era lucido quando intonava queste parole delicatissime e sublimi. Io no Osvaldo, cose buone non ne ho fatte e manco una moglie. La scia azzurra di un aereo, le scarpe col buco, quei randagi secchi di ogni quartiere, sbafatori di resti di macelleria. Passavano due mignotte con le borse della spesa, passavano mano nella mano due vecchi felici, un ragazzino con lo zainetto di scuola, il maglione da povero e la tabaccaia che venti anni prima era stata la scopata idealizzata di una generazione dell’Ellera. Poche mele guaste restate sui rami, un merlo gonfio di piume coibenti, eravamo uomini da combattimento, eravamo diversissimi e uguali in quel sorrise che la sapeva lunga. Osvaldo era Dilinger ed io il commissario Maigret a sorridere sul peperino a parlare di calcio e di calci ricevuti e inferti. Dilinger viveva per strada in quella estraniazione sofferta attimo per attimo e Maigret la conosceva in una forma diversa che aveva il profilo di una solitudine disperata. Estorti dei bisogni primari e preghierine la sera per un domani meno cattivo. Un altro ago nella carne e senza speranza. Te lo ricordi Dilinger di quando rompevi i lunotti per fottere gli sterei, farci due lire per la roba e me lo raccontavi come questo fosse del tutto normale? Osvaldo rideva negli occhi piccoli e mi metteva la mano intorno alla spalla. “Se non lo dicevo a te a chi potevo dirlo stronzo di un Maigret?”
“Sai Dilinger, siamo uguali e abbiamo fatto gli stessi agguati alla diligenza e avevamo i lontani occidenti in sogni diversi cuciti con la stessa rabbia” la mia mano era sulla spalla di Osvaldo e la teneva stretta stretta. Poi un abbraccio dal sapore strano, la mia solita promessa mai mantenuta di andarlo a trovare a casa e un cazzotto sulla schiena per darci addosso. Ora il mare dei lotofagi ti ha inghiottito l’anima in un crudo saluto finale in cui non hai potuto ricevere né fiori né un inchino. Il tuo scostante Maigret incappottato e fumante si piega riflettendo il tuo onore umile ed altissimo, si contorce il cuore alle virtù di un amico. Eravamo quella verità parziale che illumina ogni sera gli angoli delle terre sconsacrate da dio e dagli uomini, eravamo l’ingenuità di quello sguardo di sfuggita, eravamo piccole spighe d’agosto curvate dal vento.

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