sabato 20 novembre 2010

L’uomo che ne fece fuori quattro


Il primo era una bettola e un coltello. Non dovevi fargli girare gli zebedei all’uomo che ne fece fuori quattro, lui aveva la fede sporca e gli girava il culo subito. C’era il mosto e due uomini con un cappello da pastori: uno era ubriaco triste e stava in bilico sopra una povera sedia di vimini, l’altro quello ubriaco allegro declamava dante ed era il purgatorio. Lo sapeva a memoria e sciorinava le cantiche come un aedo greco. L’uomo che ne fece fuori quattro era Raniero, era l’unico sobrio perchè l’oste vacillava e spisciava tutto il bianco fuori dai bicchierotti e dai mezzolitro. La luce era ad olio e le ombre erano grasse ondulazioni sul calcinaccio di novembre.
Renzo chiese del pane nero e il padrone della ferriera già non sentiva più. Parlava di una donna francese che aveva seguito fino a Parigi, quando era giovane. L’uomo che ne fece fuori quattro aveva poche doti e la pazienza non era nel novero: “voglio il pane brusco e un quarto di vino perdio” e l’oste: “si chiamava Giselle aveva i boccoloni e gli occhi del colore del mare normanno.
Poi si vide brillare la lama, si vide l’ombra della punta come un ologramma sul muro. Si sentì l’odore del sangue tacquero le cantiche e un cane abbaiò lontanissimo.
Il secondo era il grano e la falce. Misericordia dei fiordalisi e orrore delle mignotte. Scese dalla macchina e chiese quanto veniva il servizio completo, il servizio supremo e fatto coi fiocchi. Le querce orlavano la biada e la biada era gialla giallissima. Tolse la cinta dei pantaloni, l’uomo che ne fece fuori quattro e aveva la bramosia del corpo di Teresa di cui era un habitué. Teresa era tranquilla, cantavano le cicale un assordante coro che ricopriva le malve che subissava i peri di quella campagna delittuosamente bella. Teresa offrì i suoi dolcetti e gli fece anche una carezza, quella carezza che non avrebbe mai dovuto fare. L’uomo che ne fece fuori quattro non era un romantico
Al momento di pagare Renzo non lo fece per nulla. Togliendo gli stivali di gomma ripose i calzari e si vide una falce nera. Teresa impallidì, sapeva che non avrebbe sentito più le cicale, vide la scure della sua vita sciogliersi nel languore delle vene, fiumi in piena, Teresa guardò l’uomo che ne fece fuori quattro con gli occhi di una donna che perdona.
Il terzo era il fucile e la piazza. Raniero se la spassava quella volta cercando un furterello. Fu semplicissimo. Scelse una signora borghese e le scippò il borsello. Passavano damerini e ragazze tatuate, scivolavano via i netturbini, la pasticcera aveva un cappello buffo. L’uomo che ne fece fuori quattro non ha la lingua lunga e quando uno dei damerini tirò fuori un tessera da ufficiale di polizia all’inizio fu sorpreso: “sa una signora è stata pestata a sangue e gli hanno griffato il portafogli, stiamo facendo un controllo, mi scusi tanto ma può favorirmi i documenti per cortesia, sa non sono neanche in servizio oggi, ma la nostra vita non concede pause, sa è un mestiere difficile, non ci pagano neanche le ferie alla colonia per i bambini”. L’uomo che ne fece fuori quattro aveva sentito troppo e il fucile sotto al cappotto brillò tre volte. Rimbombava nei vicoli quella passione di cristo, un corpo steso tra le selci grondante di parole un uomo in fuga sulla tangenziale di una città a misura di cadavere.
Il quarto era la mattina e la corda. Quando l’alba tinge di viola ogni balcone e la campagna si offre nuda e dischiude le delicatezze supreme di una vita trattenuta, l’uomo che ne uccise quattro uscì e non aveva dormito. Aveva il sacco e la corda per raccogliere gli asparagi, quando aprile si volge e sei già un’ombra, quando aprile ti guarda e ti ricorda, come una figura antica che sa il sacro, come un racconto di una vita agitata di sbieco, come un sorriso che ti rende cieco.
Renzo giunto alla fine di quella scarpata dove si intrecciano la luce con la riva, dove la morte partorisce morte, seppe la strada che condusse a vita. Sacca fu piena di asparagi odorosi, corda fu tesa su un olmo quasi secco e pietre di vulcano per sgabello. Strinse quel nodo ma si guardò intorno, nuvole bianche a fare da proscenio, canti di merli a intenerire l’aria e si lanciò su quel piccolo balzo di frana che lo portò nella terra dei vivi quella in cui sempre portò altrui morte, quella che ora riconduce e abbraccia. L’uomo che ne fece fuori quattro fu egli fine di quell’ incautissimo agire, mentre si sentì la volpe miagolare e si vide un cinghiale autostoppare.

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