LE ESTASI DI MEDUSA
capitolo primo
Gli indizi che gli sbirri presero in esame da
subito erano: chi l’avesse vista per ultima, track delle celle del telefonino,
gli sms, il pc, le tracce ematiche da controllare pcr dna. La stanza ne era
colma, il muro affrescato con una sirena verdina imbrattato, sangue sui
bicchieri e sul cuscino rosa che la aveva poi stronzamente soffocata. Medusa si
era difesa, aveva già messo gli stivali e c’erano tracce pneumatiche di una
resistenza felina. Passarono ambulanze, passarono dei rondoni, passò la colomba
della pace e un povero cristo di ubriaco.
Non c’era un uomo preciso nella vita di Medusa,
no. Fatti i rilievi del caso si sporse una denuncia contro ignoti. Ma gli
inquirenti brancolavano nel buio più totale.
Marco il primo indagato aveva passato la notte
con Medy, ma alle 5 era andato a correre, aveva un cardiofrequenzimetro giallo
rovente da runner al polso. La data del decesso si stimava tra le otto e le
nove ed alla otto era stato visto entrare al bar a giocare con le rubasoldi
fino alle dieci. Scagionato. Aveva un alibi di ferro, Marco aveva forzato la
porta, dopo inutili richiami e grida e aveva per primo visto quell’orrore
deposto, adesso delirava stupidaggini, cercavano di contenerlo.
Il vaso con sopra le ortensie ci ha sopra le
lucertole, Marco pensò: "ora
porteranno me a prendere aria dove c'è il gatto con le raganelle". Era del tutto scollegato, era un cavaliere
trafitto dalle punte acute della giostra, era un cuore apolide, ad
autocontrollo stava a secco: sragionò, cominciò a colpirsi con un righello la
fronte, le mani, la fronte, sempre con maggiore violenza; adesso era fradicio di sangue, il destro dei
suoi due occhi celestini, tumefatto. Pisciò sui pantaloni, gocciavano,
bagnavano le piastrelle.
Stavano scrivendo un romanzo insieme e quando
dettava Medusa, Marco scriveva, poi il contrario. Il punto centrale del romanzo
voleva essere “il nulla” e stavano andando piuttosto bene. Dai tetti di
Civitavecchia si vedeva il mare, i pescherecci, gli uccelli pelagici e le navi
crociera, c’era una gelateria d’angolo che portava la roba a casa. Medusa era
una nicodemista tupamaros e il suo lavoro da cassiera era una evidente
copertura. Ma il suo gioco vero qual’era? Indagare il nulla ovvio o forse
qualcosa di più strutturato e duro?
capitolo secondo
Gianni, il titolare della pasticceria stava
disinnescando un candito da una torta di compleanno, era stranamente freddo
quella mattina di fine aprile e la stufetta era guasta. Si guardò le mani,
erano appiccicose di lievito, strinse le spalle nel soprabito, stava per uscire
quando entrò come una erinni Elisabetta: “hai sentito di Medusa, la hanno
uccisa come un ghiro, sgozzata povera Medy”. Gianni: “si ho sentito al molo
non si parla d’altro, me lo ha detto Elisa stamani prima di farsi
il suo solito cargo di bignè, è una disgrazia e comunque soffocata e non
sgozzata, così dicono almeno”. Gianni ed
Elisabetta erano amanti, ma era crisi per noia e Gianni aveva pensato di
dirglielo, ma non c’era mai occasione per aprire i rubinetti e: “oramai tra noi
non c’è più nulla, meglio che prendiamo strade diverse, ci è piaciuto ora è finita”.
Gianni aveva la faccia da figlio di puttana, ma non era affatto risoluto. Non
lo disse neanche stavolta, la tolse scuotendola dalla sua spalla, lasciò
Lorenzo al banco e si diresse al molo. Odori di bivalvi, di cozze soprattutto,
un vigile in motorino, due sedicenni imbronciati si scambiavano la saliva e
avevano fatto sega a scuola.
capitolo terzo
Cosa combinava Medusa nell’ora pranzo? che
faceva dalle 13 e 30 alle 16 non l’ha mai capito nessuno. Prendeva un pullman
ma per dove? Parlava pochissimo, teneva un libro sulle ginocchia fino alla
destinazione, si faceva una crocca coi capelli, scendeva. Di lì andava per via
degli Anelli, suonava un citofono, si rollava una siga. Medusa guadagnò a
fatica il portone le cadde dalla busta di plastica della spesa una confezione
di 500 g. di caffè Lavazza ma analogamente al sig. Roquentin non riuscì a
raccoglierla; si mosse col busto in avanti,le gambe fecero una misera
oscillazione all'indietro, la schiena paralizzata, insomma proprio per niente
ce la fece. le aprivano e la scala era ripida come la vita. La porta la apriva
un molossoide, lei entrava come una volpe. Stefano era il molossoide ed era il direttore della rivista clandestina
alla quale Medusa collaborava come redattrice, come factotum e vi porto anche
da bere, perché questo voglio, questo è ciò che sono. La federazione anarchica
informale aveva un ciclostile che si chiamava “ Le ali del lupo”. Stava per
inciampare in una molotov, il giorno prima della sua fine e invece si sollevò
come una farfallina e chi lo avrebbe detto? Medusa organizzava un documento
strategico, lo avrebbe passato a Cristina, poi al molossoide che avrebbe
corretto a modo suo. Gli informali sono strutturati in celle e hanno
architettura orizzontale, le singole unità non avevano contatti politici e
neppure si conoscevano tra loro. La cella di Civitavecchia non aveva relazione
né con quella di Viterbo, né con quella di Latina o di Torino. Forse Medusa la
aveva scelta per questo, come un rifiuto estremo alla piramide a cui
soggiaciamo tutti, in cui c’è un rapporto gerarchico oppressivo ovunque: al
lavoro, tra amici, nella coppia, tra semplici conoscenti, Medy non ci stava nel
branco, rivendicava la sua unicità insindacabile come una religione, la sua
religione e il suo credo d’infanzia. Aveva conosciuto Stefano ed era entrata a
diciassette anni nella FAI. I capelli di Medusa illuminati dalla lampada ad
olio erano un campo d’orzo, la testa chinata sul tavolo come una madonnina di
Paolo Uccello. Quello che faceva Medusa era illegale, era illegittimo, era
vietato, era contra legem, era simil terrorista, sinceramente lei se ne
fregava. Quello era il suo vero impiego, aveva scelto una destinazione
sparpagliata, come le curve che portano alla montagna di Allumiere e gli alberi
di Giuda dipingono il mondo di piccolissime schegge fucsia.
capitolo quarto
L’ispettore capo Perugini non era
un fesso, conosceva il mestiere e aveva la pazienza di una chiocciola nel
condurre le indagini. Sapeva che per ogni omicidio servono le tre M: movente,
mezzi e maledetta occasione, aveva letto John Fante e il “mestieraccio” ce l’aveva: amava la lirica e le pause tra
gli atti, quando tutti si soffiano il naso, sapeva che l’elemento rivelatore
poteva sgorgare quando meno te lo aspetti e farsi un giro di nascosto tra gli
amici di Medusa, senza interrogatori era la procedura più promettente. Era la
giusta e scura ouverture del Lohengrin. Talvolta andava lui, altre volte
mandava l’agente scelto Scarpa o l’assistente
Chiaravalle. Ma essere criptico tra i criptici porta a poco, avevano la
nausea tutti per questo caso, mostravano palpabile sconcerto, avevano voglia di
chiudere presto la pratica. Pasticceri, portuali e anarchici non parlano se non
per monosillabi di metalinguaggi. Perugini era imperturbabile ma dagli occhi sottili
come chiodini traspariva una durissima amarezza. Si voltò, i suoi occhi
incrociarono uno specchio; si buttò addosso un cappotto e uscì facendo battere
la porta come allo zoo fanno gli inservienti distratti con le gabbie.
capitolo quinto
Medusa aveva una bocca che
meritava un ragionamento. Raccontare Medusa solo come una combattente è una
totale stronzata. C’è poco da ricevere e poco da regalare e allora cosa sarà di
me?
Cose che piacevano a Medusa:
farsi vedere mentre si alzava dal letto come la Lola di Izzo e lo spettacolo
era smisurato, sognare ad occhi aperti, giocare a pallavolo, leggere
letteratura americana, camminare senza scarpe, tenere il bavero alzato. Cose
che non piacevano a Medusa: il possesso dei beni, a meno che non fossero capi d’abbigliamento per lei, l’oppressione
dei deboli, le giornate senza vento i ragazzi coi capelli corti.
Aveva preso una matita e iniziato
a disegnare il sole con una vallata ed il sole era rovesciato, la valle era in
alto. Suonarono per firmare una raccomandata ma non scese, fece l’allocco e
finse di non sentire. Gorgogliava il caffè, aveva una vestaglina celeste,
spense il fuoco e senza zucchero. Cose di cui Medusa aveva paura: le domande
troppo personali, la cadenza di un orologio, i cani piccoli e soprattutto il
temporale. Quando c’era un temporale telefonava sempre a qualcuno e allungava
il brodo perché non voleva stare sola, telefonava anche a sua madre che
detestava seriamente, ma in quei casi era un vero toccasana perché non finiva
mai di blaterare stupidaggini.
Medusa era stata violata
sedicenne, e quella rabbia le era restata nella tasca dell’eschimo, insieme a
un foglietto di precetti da recitare qualora l’avessero arrestata e insieme ai
trucchi che non entravano nel tascapane. Medusa era quella bambina rifugiata in
un campo di sterminio. Volgiti indietro, e tien lo viso chiuso: che se il
Gorgon si mostra, e tu il vedessi, nulla sarebbe del tornar mai suso. Il
temporale schiarì, Medusa salutò sua madre: “ciao mamma, tu hai un passato, io
un futuro e cornetta giù. Medusa aveva detto “ti amo” una sola volta e capitò a
quindici anni, mentre studiava per la prima liceo, girava la puntina sul vinile
di Rimmel, “hai ancora le tue quattro carte, bada bene di un colore solo”. Era
a casa di Luciano, sulle pareti il quarto stato, un poster della a.s. roma e
marthin luther king, sopra la porta uno di un vietcong che cadeva mitragliato
con sopra la scritta “why?” Era l’età in cui i fiori sbocciano anche di
inverno, l’età dei visi sorridenti, la scoperta della donna, l’età
dell’albeggiare dei glicini.
capitolo sesto
L’ultimo sms ricevuto da Medusa
era di Lorenzo il garzone della
pasticceria, trentenne, capelli rossi e lentiggini piccole. Alle sei e
zerocinque, diceva: “Medy ti è piaciuto il corn. alla pnn che ti ho port? sai
che quando li faccio per te metto più fior di latte, dai se vuoi una di queste notti usciamo”.
Medusa non aveva risposto. Se non avesse potuto o non ne avesse avuto voglia
chi lo sa? chiedilo a un gatto di passaggio. Perugini aveva convocato di nuovo
la scientifica, trovarono poco e allora allo zelante ispettore capo non restò
che richiedere un nuovo esame autoptico. Stavolta toccava a lui andare al molo
a interrogare un po’ di pescatori, qualche diportista, qualche sfaccendato e
ancora nulla. l’unico argomento trattato era chi avrebbe fatto le mosche per il
giorno seguente, nessuno collaborava, cianciavano, raccontavano ma solo di
argomenti collaterali, forse non sapevano proprio Si passa all’interrogatorio
di Interlenghi Lorenzo decisero alla Mobile.
Salì Lorenzo dopo la
convocazione, aveva paura e fece il giro lungo, camminava un po’ sciancato per
la strizza e perché doveva pisciare. Lo sguardo era pieno di lacrime. Scese da
via francesco crispi, voltò le briglie a destra per viale garibaldi fino a via
della vittoria dove Scarpa e Perugini lo aspettavano seduti dietro una
scrivania di provincia, con sopra una gigantesca lampada verde d’ottone che
stonava forte, i quotidiani come un branco di pecore fuggite dal recinto. Entrò
Lorenzo e gli chiesero di tutti i suoi spostamenti dalle cinque alle nove, ma
il suo alibi poteva essere solo quello delle delicatezze sfornate. Ammise
subito che era stato da Medusa e in quei dieci minuti aveva chiuso portone e
serranda, Tornato non era più uscito così disse, ma il suo imbarazzo da timido
lo aveva messo in cattiva luce e si trovò in un niente iscritto sul registro
degli indagati dove c’erano già il molossoide Stefano, Elisabetta, e Marco il
cui nome era barrato con una matita che ne legittimava l’estraneità ai fatti e
lo scagionamento. L’ispettore capo Perugini cedeva al suo vizio, gin e
angostura con una fogliolina di menta.
capitolo settimo
Le “magliette” glie le portavano
sia Marco che il molossoide e ogni volta che era sola ne prendeva una. Ecstasy
da dio, mal di testa, euforia centralizzata, santa madre del dolore e del
desiderio. Medusa non pagava mai, le magliette entravano in un forfait
metafisico che i fornitori accettavano e si sa il perché. La sera della sua
fine si era incontrato con Marco su una panchina sverniciata del lungomare, le
palme portavano i rami quasi a terra, il libeccio li teneva appiccicati.
Presero la pasticca lì e cadde tutto dalla borsa di Marco, anche un detersivo
per i piatti. Si separarono per un po’ perché Medusa doveva passare un attimo
al giornale e Marco in palestra un po’
di pugilato, un po’ di pesistica.
capitolo ottavo
Ma perché Elisabetta era finita
nella brodaglia degli indagati? Elisabetta lo sapevano tutti aveva una gelosia
ossessivo-maniacale. La gelosia delle amanti è ampiamente più brusca di quello
di una compagna o di una moglie, questo lo sapevano tutti. Quei momenti di
attenzione, di sudore e di sesso spiccio, erano appunto lampi e tuoni di un
momento e ad Elisabetta mancava il quotidiano esistere, mancava il riflesso
degli occhi di Gianni ogni sera nei suoi. Gianni era un brav’uomo ma un
mentitore colossale e il mantra “dai amore, lo dico a mia moglie, ieri non ho
potuto, devi avere pazienza, io esisto solo per te” era così scontato, era una
fottutissima e scontata menzogna, lo avrebbero capito tutti, una presunta
innamorata no. Per Gianni era stata da sempre una storia low-cost. Elisabetta
nei suoi fuoripista mentali era convintissima che Gianni e Medusa fossero
amanti e a Perugini lo aveva riferito Lorenzo molto prima della sua
convocazione formale, fu la prima cosa che disse: “quella è una pazza, io non
so nulla ma quella è una stronza pazza”. L’ispettore capo Perugini segnò tutto
su un taccuino e poi fece il resto della liturgia sacra. Gianni e Medusa non erano
amanti, non passava per la testa a nessuno dei due. Un cane vagabondo odorò,
oscillò tra pasticceria e alimentari, un ford transit scassato
transitò. Raccattò magre bambine braccianti avventizie.
capitolo nono
Perugini era furibondo: “dovrei
avere una squadra di segugi e mi ritrovo una squadra di chihuahua. Come è
possibile santoiddio che non riusciamo a fare un passo avanti. Scarpa,
Chiaravalle volete andare a pulire i cessi con le mani per i prossimi due anni
o lo muovete il culo?” Fumava Perugini come la ciminiera grigia che aveva alle
spalle. Continuò: “dalla Procura mi chiamano ogni giorno e io cosa rispondo che
giochiamo a briscola? Il Messaggero titola tutti i giorni che siamo dei
fannulloni e che possiamo dargli torto porcatroia?”. Non la stava prendendo
bene l’ispettore capo Perugini.
In realtà la mobile non aveva
fatto malaccio: cercato negli ambienti anarchici e nulla, in quel baillame di
ordigni e progetti di insurrezione niente portava a Medusa, anzi la piangevano
come una pedina in meno. Cercato sul pc di Medy, con lo scandaglio la posta
elettronica, ma ne usciva solo un uso casuale, un calendario sugli orari
mensili dei turni al minimarket, siti internet frequentati esclusivamente di
saggistica politica, non chattava. Sul cellulare la stessa cosa, la sua
presenza sul mondo era agita con una
discrezione regale, ma non in palazzi rinascimentali, in mezzo alla gente, in
mezzo agli steli verdini dei prati. Ma la gente era troppa, era tutta la gente
che si affollava per i mercati del pesce, per i mercati delle pulci, per chi
lungomareggiava con un gelato. Suonarono alla porta. Era un uomo che voleva
fare dichiarazioni spontanee sul caso, Di Luigi Stefano cognome e patronimico.
Era un cinquantenne amico del molossoide, non di tendenza anarchica, ma più
trozkista si direbbe e che aveva ricevuto, diceva lui, delle confidenze. C’era
un compagno, tale Luigi Marri che si vantava di poter avere Medusa ogni volta
che voleva. Il Marri è un violento continuò, ha il porto d’armi e una serie di
coltelli da mattatoio. Si guardarono tutti sconcertati. La deposizione fu
battuta a macchina da Chiaravalle. Punto di svolta gridò Scarpa, è il punto di
svolta!
Peccato, Marri fu convocato e si
seppe che Di Luigi gli doveva euro cinquantamila per una ristrutturazione casa
non pagata, si seppe che il Marri riceva quotidianamente telefonate anonime dal
Di Luigi e che una volta, lo stesso Marri fu accoltellato alla testa di
striscio dal suddetto fetente che a detta di Perugini si era dimostrato
null’altro che un mitomane psicoide. Marri lo denunciò e via con una serie di
procedure e avvocature che niente avevano a che fare con l’epilogo atroce di
Medusa. Si stava al palo un’altra volta, o così sembrava. Come una posizione difficile di Andrès, come la
calma ricerca della mammella della pecora,
come l'eco ripropone e dio dispone,
nulla è nuovo e tutto somiglia e così la biada di Santa Marinella ha gli
stessi t colori di quella arlesiana. Come nulla ti potrò dare, nulla avrai tu
per me e la rincorsa avrà fine solo se la preda sarà svagata e parziale. Perugini
era uno che pensava.
Capitolo decimo
Dai tabulati telefonici, l’ultima
chiamata di Medusa fu alla sua amica Chiara ed era dolcissimo colloquiare:
C: ma cosa ti metti domani sera
che si va alla festa di Laurea di Antonio?
M: Chiaretta se non mi conosci
tu? dei jeans e un blusa, tanto sono uno splendore lo stesso (risata)
C: Urca è vero Medy. Ma le
magliette chi le porta?
M: domani meglio di no, sai
Chiaretta qualche volta succede che l’euforia valichi il passo, io le tengo
bene, ammortizzo da dio, ma non è per tutti così lasciamo stare.
C: Si hai ragione, poi se lo dici
tu tesoro (risata).
M: tu mettiti gli stivali eh che
sei una strafiga, ciao (sorriso)
C: ciao
E l’ispettore capo decise che
tutti gli esami sul luogo del delitto erano conclusi e mandò a pulire la casa
criminale da una cooperativa appaltante della Polizia di Stato. Erano tre
uomini e una donna i nettatori autorizzati, Maria era la cognata di Scarpa e
con Perugini aveva avuto un flirt bambino.
Nella stanza della Mobile,
roteavano i caffè, le ombre dei crocieristi si allungavano sui vetri, i frutti
dei platani sovrapponevano, odore da penitenziario.
Come una furia, come cristo al
tempio, come un assolo di Bambolablu al cinodromo, Maria quasi ruppe le porta
entrando: Perugini corri, corri ti dò la primavera. L’ispettore capo arrivò con
la pipa accesa. Maria urlava: “stavamo pulendo quel vuoto che sta dietro ai
lavandini, non so come diavolo si chiama, al bagno, lo stavamo pulendo e
rovesciato nella sua parte opalina e impolverata c’era sai cosa? c’era sai
cosa? un orologio di plastica, oppure no, non era un orologio, era uno di
quegli aggeggi che si mettono al polso quelli che fanno jogging, o quelli delle
biciclette, quelli che corrono insomma, girandolo abbiamo visto che era giallo
rovente, non lo so Perugini non lo so miodio, forse non serve a nulla, ma
qualcosa mi diceva che te lo dovevo portare. Perugini era una sfinge e non
sorrise.
Marco fu preso alle mangiasoldi,
era ubriaco e strafatto di pasticche, Marco non le sapeva reggere le
“magliette” e la sera prima della fine volle di nuovo il sesso che Medusa non
si decideva a offrire. Doveva andare in negozio, Medusa teneva ad essere
puntuale sempre, era una delle tante sue forme soavissime di leggerezza. Per
ventitre anni circa e più o meno, il corridore costò centodieci euro al giorno,
più le iniziali spese di spedizione imballaggio escluse.
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