martedì 26 aprile 2011

Parigi


Il mio amore migrava da una sponda all’altra del fiume. Un capriccio spigoloso le tue ali e la canzone proseguiva. Quella puntina graffiava edith piaf ed era il terzo arrondissement, quello dei vaffanculo, quello dei rifugiati, dove la notte apre le cosce e i lampioni ti portano dritti al museo Luis Buffon e ti ci trovi senza saper perché, senza sapere quando. Io non sapevo quando, quando sarebbe terminata quella febbre che mi rendeva schiavo delle tue piume. Sentendo friggere le rotaie del tram, volando nell’oscurità scoprimmo. Scoprimmo cosa ci porta in questa discesa all’inferno. C’era il quarto stato alla parete sopra la stufa e c’erano due ragazze che si toccavano. C’era l’almanacco di topolino e i quaderni partigiani dietro la porta, in una specie di cestone di vimini, mentre bevevo cognac ed ero la corda più piccola della chitarra. Poi uscimmo di nuovo nella prospettiva ventrale, così ubriachi da non reggerci sulle gambe, steli su steli dall’altra parte della sponda. C’erano i primi mc donalds ma ci cacciarono con le patatine in mano sbafando la cassa con un calcio nella pancia e suonava chet baker, si strabuzzava di eroina ed era freddo. C’era uno stronzetto con la pedaliera della chitarra elettrica giallo limone e un ampli furoreggiante e suonava jimi hendrix in modo divino e fu una tappa obbligata prima della fine. No, io non sapevo quando l’abisso si sarebbe scolato il mio cuore. Quei maggiociondoli berlinesi messi a disincantare il sogno della ferrovia, guardavamo dai retrovisori  e ci facevamo paura. Strabuzzavi scollature, ti accendevi il fumo e ritornavi nelle fogne di parigi o di praga a cercare la sorte, eri gli spicci che gettavi in un piattino del fisarmonicista dell’orangerie e tutto sembrava in forma in  quel paesaggio ricreativo. Pigliai anche un poster di monet, uno con delle ninfee qualsiasi e lo arrotolai. Non sapevamo quando, ma lo persi poco dopo non appena l’aurora si cercava spazio alla stazione di Montmartre, così facemmo svirgola degli ubriaconi perché era fottuto anche il passaporto ma non trovammo nulla, il sapore delle Senna se lo sai mangiare ti porta in quella baietta di le havre dove consumammo ostriche e amore a pochi franchi mentre l’abat jour era l’intermittenza.  Ti reggevo la fronte mentre vomitavi giallo e lo faccio ora ad ogni notte. Danzavano infantili le libellule quella notte, caricate a forza sulle camionette e lasciate per terra a bucarsi il culo e il nylon delle calze. Prendevano alzopram come caramelline. Ognuno di noi dovrebbe avere un pantheon, ognuno di noi dovrebbe avere un sacchetto di dolore da tirare fuori appena serve (in pulverem reverteris), ognuno di noi si crede qualcosa che non è. Si diceva questo ed altro, volare da una sponda all’altra e mi cercavi, ma prima preferimmo arrotolarne un’altra alzando follemente il bavero, abbassando la testa nel corteo uniforme delle rotaie. Ora non lo diresti più.

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