giovedì 16 dicembre 2010

Il dono della violenza


Mordeva quelle parole sfolgoranti perchè era goloso degli antefatti. Segni e tracce come muschi sui tronchi esposti a tramontana, conosceva il sentiero dell’illuminazione, conosceva il nascondiglio del terzo piano. Chi ha intravisto quel sorriso e quegli incisivi spianati bagliore di un viale torinese. Noblesse obblige e la parure testina e puntina Concorde suonava i joy division. Come disintossicarsi dalla vita in un tripudio di mattanze? Lello era il lupo di macchia o di bitume, vittima dell’avidità di scelte di esclusione. Cristina trovò un posto da vetrinista, lupa di bosco e di falcate agilissime. Isolation. Si consumava quel vivere ordinario delle saracinesche e degli avvolgibili, giù la sera su la mattina. Maestria degli stati bradi, salire sulle curve di livello seguendo il pensiero delle vacche della maremma colorata. Scippatori, venditori di pasticche, convogli umani, portatori sani di mezzolitro di liquore nelle budella. Lo sai quel rosso dei faggi, il giallo dei carpini e il pompeiano dei castagni, trapunte smeraldo della lecceta e in città. Provò a spiegare a Cristina l’asino di Buridano secondo Spinoza:” gli uomini si credono liberi soltanto perchè sono consapevoli delle loro azioni e inconsapevoli della cause che le determinano”. Cristina lo guardava male: “il solito cazzo di eruditismo scollegato” non lo disse per compiacerlo in un silenzio parziale, perchè rombavano ambulanze, pompieri, polizie, carabinieri e spiriti santi, tutti in missione immanente: svicolare nell’ingorgo per ragioni di appetito istituzionale. Dove la doppia morale è il primo comandamento di Mosè. Santissima infingardaggine, madre dolcissima dei bastardi. Stavano insieme Cristina e Lello, quasi da un anno con il pensiero pervinca dell’amore. “Oh ! Would you like to marry me ? And if you like you can buy the ring”. Uscivano da profondi baratri con le gambe incerte e una prospettiva solida, si ferirono con un compasso in quel patto di sangue magicamente mescolato che li portava dritti nelle promessa eterna. Quando il lupo scende nella valle invernale ci porta dio dentro e sappiamo accoglierlo ogni volta, quel girovagare difficile, quel principio animale che tutto fonde in un abbraccio di fango e danzi il fado e il fandango come una bimba infreddolita nello scorrere dell’umanità svogliata. Quando sei il giusto spazio che occupi non hai paura Cristina, ti sento e te lo giuro. Lello era innamorato. Cristina ebbe le nausee e una promozione. Piccola, se avrai paura scenderà il lupo, lo scudo della sua fuga incognita, sarà il tuo vestito migliore. Io ci sarò. Insieme si perdono le virgole. Ti porterò nel chiostro delle tue peripezie che non riesci a vomitare e sarò lì, sarò il tuo fianco. Tradirono i loro patti, che la vita offre il disincanto del mondo e ci separa dal sacro, le valli di lillà calpestate come un tappeto preso dai coreani e che non valeva un cazzo, ci cadde sopra dello yogurt e sta nello sgabuzzino a decadenza storica di isotopi radioattivi e quello che era reale sarà sempre reale se non il dolore di vederci esausti in un' acutissima smorfia. Lello era nella radura di Lisbona, ululava ai passeri, sentiva il senso profondo del tradimento che non affonda le unghie nell’ altrui corpo, ma incarna la fine delle integrità innocenti. Sterzava in fughe pazze nella pineta del quartiere periferico e il Tago era profondissimo, una sirena scura e figlia di puttana a cui non oppose rifiuti. Trafisse l’amore in una spina e si disse da oggi sono un servo ed uno schiavo. Passavano le ragazze con le culle a cingoli, guardò quel minuscolo creato dalle velette trasparenti e si disse si, da oggi sono un servo ed uno schiavo. Il rumore leggero e poi le piccolissime ali.

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